La risposta al quesito è negativa. Con ordinanza n. 26060 del 5 settembre 2022, la prima sezione della Corte di Cass., superando un orientamento meno recente favorevole della medesima sezione (Corte di Cass. n. 9662 del 22 aprile 2013), che aveva evidenziato che una siffatta previsione statutaria si risolveva, nella sostanza, nella mancata determinazione del tempo di durata della società e dava luogo a un effetto elusivo della norma che prevede il diritto di recesso ad nutum del socio per società contratte a tempo indeterminato, aderendo all’orientamento negativo espresso dalle più recenti pronunce della stessa sezione, ha ribadito il principio per cui la possibilità per il socio di Srl di recedere ad nutum sussiste solo nel caso in cui la società sia contratta a tempo indeterminato e non anche a tempo determinato, sia pure lontano nel tempo.
Ma perché la Corte di cassazione ha cambiato indirizzo interpretativo?
La Corte, ponendosi sulla scia delle più recenti sue pronunce ( ordinanza n. 8962 del 19 marzo 2019 e la sentenza n. 4716 del 21 febbraio 2020, entrambe della stessa sezione) ha ritenuto che sull’interesse del socio al disinvestimento, prevale quello della società a proseguire nella gestione del progetto imprenditoriale e dei terzi alla stabilità dell’organizzazione imprenditoriale e all’integrità della garanzia patrimoniale offerta esclusivamente dal patrimonio sociale, non potendo questi fare affidamento – diversamente da quanto accade per le società di persone – anche sul patrimonio personale dei singoli soci.
I terzi – e i creditori, in particolare – secondo la Corte, hanno interesse a conoscere in anticipo, al momento in cui contrattano con la s.r.l. e per l’intera durata del loro rapporto con la stessa, il catalogo esatto delle ipotesi di recesso dei soci, in relazione alla potenziale distrazione di patrimonio netto dagli scopi dell’iniziativa e alla alterazione della generica garanzia del credito rappresentato dal patrimonio sociale.
L’adesione ad un’interpretazione letterale del testo dell’art. 2473, secondo comma, cod. civ., è stata, quindi, dettata, in primo luogo, dalla necessità di tutelare l’interesse dei creditori sotto il profilo patrimoniale, in relazione alla conservazione della garanzia patrimoniale rappresentata dal patrimonio sociale, a tutela (anche) del quale è dettata la disciplina del procedimento di liquidazione della quota, interesse che, secondo la Corte, è già esposto al rischio del recesso ad nutum laddove sia pattuita l’intrasferibilità della partecipazione (art. 2469, secondo comma, cod. civ.), oltre che nelle altre ipotesi di recesso previste dall’atto costitutivo o dalla legge (art. 2473, primo comma, cod. civ.)
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